
Una differenza sottile, ma cruciale perché lascia aperta la possibilità di pensare al recupero dei ricordi mediante la stimolazione mirata di alcune aree cerebrali. È proprio quello che ha fatto il team guidato da Susumu Tonegawa, che ha messo a punto un sofisticato esperimento sui topi.
L’ESPERIMENTO
Di solito per testare la memoria delle cavie, si fa loro associare un certo stimolo a una reazione: ad esempio un suono viene abbinato ad una leggera scossa elettrica. Quando verrà ripetuto il suono, se l’animale si immobilizzerà in attesa della scossa, allora si avrà la prova che l'associazione è stata fissata e che, quindi, il suo cervello ha registrato la traccia mnestica corrispondente. Nei topi geneticamente modificati che sviluppano una forma precoce di Alzheimer, però, questo non avviene.
Lo studio – pubblicato su Nature – ha dimostrato come sia possibile riattivare i ricordi apparentemente persi. Tonegawa e il suo gruppo hanno utilizzato alcune innovative tecniche di optogenetica “taggando” i neuroni dell’ippocampo - le cellule fisicamente coinvolte nel processo di codifica dei ricordi - con un gene sensibile alla luce (veicolato da un virus). Dopo aver sottoposto gli animali al condizionamento, hanno attivato il gene con la luce blu. Questa volta i topi, reinseriti nella gabbia dove avevano ricevuto la scossa, hanno ricordato l’associazione suono/scossa immobilizzandosi un attimo dopo aver sentito il suono.
ASPETTATIVE
Purtroppo la ricerca non prevede un’applicazione immediata, ma senza dubbio costituisce un prezioso passo in avanti nella comprensione a un livello sempre più dettagliato di quali sono i meccanismi neuronali che la malattia manda in tilt.
Paolo Antonio Magrì
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Follow @PaoloAMagri
articolo scritto per LPLNews24
Nessun commento:
Posta un commento